Ed anche il timbro del Nepal è stato stampato sul mio passaporto, che emozione! L’arrivo non è stato dei migliori. Non è successo nulla di grave, semplicemente non ero ben predisposta. La verità è che non volevo lasciare l’India. Sono quindi atterrata in Nepal con il piede sbagliato, in tutti i sensi. Sono caduta per terra mentre scendevo dalla jeep che mi ha portata dall’aeroporto all’ostello e lo zaino pesante impediva di risollevarmi!
Vivere Kathmandu è stato quasi rilassante, mi mancava l’atmosfera iper caotica indiana. L’inquinamento atmosferico ha continuato ad essere una costante ma la città in sé mi è sembrata più un paesone con tanti turisti.
Il secondo scivolone è avvenuto quando mi sono resa conto che il progetto di volontariato non aveva poi molto a che vedere con lo Yoga e che avrei avuto solo due lezioni al giorno, la prima alle 5 del mattino. Le mie alunne erano donne con ben altri problemi nella vita e con scarsa capacità motoria. In quel momento ho capito che quest’esperienza non mi avrebbe fatto evolvere a livello di flessibilità fisica e linguistica (nessuno parlava inglese) ma avrebbe aumentato la mia flessibilità mentale. Così ho cambiato atteggiamento e non sono più caduta se non durante un trekking quando sono sprofondata nel fango con una gamba! Spero fosse fango, preferisco non pensare ad altro.
La mia famiglia nepalese squisita. Sono stati accoglienti e premurosi su tutto: quando me ne sono andata il papà ha seguito la macchina salutandomi con la mano e sorridendo. È stato commovente. Mi hanno riempita di cibo buonissimo, continuo a mangiare, mangiare e mangiare. Mai avuto tanto appetito in vita mia! In tutto ciò la sorpresa più grande che mi ha regalato il Nepal non è stata la nobiltà delle persone, in parte già lo sapevo, ma la maestosità della natura.
Mi sono resa conto che viviamo lontano anni luce dalle nostre vere radici. Ho confuso un campo di pannocchie con un campo di patate, cavolfiori con lattuga, peperoncini con lamponi ed in preda all’ansia mi sono sentita persa durante una camminata in un bosco dai colori magici. Ero sola, non conoscevo il sentiero, mi inquietavano i suoni degli animali, dell’acqua della cascata e delle foglie degli alberi. Inevitabilmente ho pensato a come da un lato sono bravissima a prenotare aerei, autobus, a muovermi in metro e ad usare Internet (sto facendo grandi progressi con la tecnologia) e dall’altro sono tremendamente estranea al contatto con la terra, al contatto con la nostra madre primordiale, Madre Natura: la Vita.
Siamo stati snaturalizzati e viviamo come macchinette omologate. Il Nepal è stato colpito da un forte terremoto nel 2015, molte persone hanno perso la casa e se la stanno ricostruendo con le proprie mani. Nessuna strada è asfaltata, non esistono treni ed i loro veicoli producono un fumo talmente nero che solo l’immagine toglie il respiro. Ma i nepalesi non smettono di sorridere e di essere generosi. Vivono per la maggior parte di agricoltura, sono pochi quelli che si sono trasferiti in città. Pochi e… fortunati? A voi la scelta. Se mi trovassi nella loro situazione, devastata da una catastrofe naturale, lontano da tutto, senza aiuti né mezzi di trasporto non credo avrei la capacità di ricostruire una casa, coltivare i miei alimenti ed essere sorridente e spensierata dalla mattina alla sera.
Il Nepal mi ha messa a nudo e mi ha fatto capire l’importanza di sapersi ricucire gli abiti da sé, con entusiasmo e buon umore, coltivando e proteggendo i semi, non il capolavoro finale.
Infine, volete sapere qual è stata la molla che mi ha fatto davvero cambiare atteggiamento? Dopo i primi giorni di nostalgia indiana, ho scoperto un supermercato europeo nel cuore di Kathmandu. Una luce più abbagliante del sole stesso! Ci sono tornata tutti in giorni solo per passeggiare in mezzo ai suoi corridoi così puliti ed ordinati. Ho comprato Lindt 90% extra dark. Le gioie della vita di noi occidentali.
Dal Nepal è tutto cari lettori.