Il primo mese in India è stato il periodo più colorato e puzzolente della mia vita. Non avevo troppe aspettative e sono rimasta incantata quasi da tutto. La mia prima tappa è stato l’Ashram in Rishikesh dove ho svolto la formazione per diventare insegnante di Yoga. Non è stato semplice abituarsi a vivere senza comodità.
Sono arrivata dopo un lungo viaggio ancora impregnata d’aria europea e mi sono ritrovata a condividere una stanza con altre persone dove non c’era acqua calda, il materasso era di legno, le lenzuola giallognole e bucate, animaletti vari come compagni di stanza. La prima notte ero talmente stanza che sono caduta in un sonno profondo, nonostante gli scarafaggi che circolavano indiscretamente. Nei giorni successivi più volte mi sono svegliata di notte pensando “chi me l’ha fatto fare?”. Il ritmo era intenso: alle 5 suonava la campana che dava inizio alle tante lezioni giornaliere. Durante la mezz’ora di pausa uscivo per bere un Lemon ginger tè e ne approfittavo per studiare i Sutra di Patanjali.
Le strade del paese erano popolate da vacche, scimmie ed escrementi vari. I primi giorni non toccavo niente, neanche le lenzuola! Dormivo con felpa e cappuccio. Poi mi sono ammalata, febbre altissima e diarrea. Ci siamo ammalati tutti e più che un Ashram sembrava un ospedale. Quel momento ha rappresentato per me l’inizio del viaggio, quello vero. Non ero preoccupata, me lo sono quasi goduta. Mi ha aiutata a sentirmi realmente parte di quella comunità. Dicono che l’aria indiana contenga un batterio che noi occidentali non riusciamo a tollerare. Possiamo prendere tutte le precauzioni del mondo ma il virus arriverà. È durato due giorni e mi sono poi sentita più nuova di prima.
L’informazione ricevuta in classe è stata tantissima: filosofia, anatomia, ayurveda, suono terapia, yoga terapia e tanta pratica fisica. Ero mentalmente e fisicamente provata ma allo stesso tempo sentivo dentro di me una carica fortissima. Le persone erano stupende, la povertà mi sembrava solo economica.
La gente mi trasmetteva calore: il mendicante che cammina scalzo per strada e ti saluta con un sorriso, bambini che ti corrono dietro per avere una moneta, la cortesia ed il rispetto che noi “ricchi” abbiamo dimenticato. La semplicità delle piccole cose che per noi “ricchi” è diventata obsoleta. L’andare oltre le apparenze: gli indiani mangiano curry tre volte al giorno, con le mani. Non usano carta igienica, ruttano e sputano costantemente.
Nonostante ciò hanno l’ossessione della pulizia interiore. Abbiamo sperimentato varie tecniche di pulizia che sono la base dello Yoga, quello tradizionale e puro che non ha nulla a che vedere con le belle posizioni che posto su Instagram. Pulizia delle narici, occhi, polmoni, stomaco e intestino. Le ho provate tutte ed ho sperimentato che non solo provocano leggerezza e pulizia ma donano anche una rigenerazione emozionale. L’intestino è il nostro secondo cervello e gli indiani lo sanno, guardano l’uomo come un tutto non osservano solo lo strato superficiale. Per questo curano scrupolosamente ciò che sta dentro, l’invisibile all’occhio.
Abbiamo fatto una pulizia intestinale tutti insieme nell’Ashram indotta da acqua, sale, limone ed esercizi Yoga. Vi lascio immaginare come dovevamo correre in bagno a turno o insieme e la situazione tragicomica creatasi! Poi il digiuno, sempre condiviso con i ragazzi. E quindi mi sono chiesta chi fa realmente parte del mondo “civilizzato”? Noi che frequentiamo ristoranti stellati e che con la presunzione che ci caratterizza non sorridiamo agli sconosciuti o loro che umilmente accolgono tutti ma mangiano solo riso, curry e lenticchie? La risposta non ce l’ho e non credo ne esista una univoca. Ho conosciuto una persona che mi ha insegnato a chiamare tutti Maestro. Perché ognuno di noi è portatore di un messaggio e possiamo realmente apprendere da ogni individuo: indiano, italiano o whatever.
Mentre mi preparavo all’esame finale sentivo dentro di me una sensazione di pace e tranquillità. Già sapevo che la parte più importante della formazione in Ashram era stata la strada percorsa, non il traguardo. Ho conosciuto persone stupende che hanno riacceso in me la fiducia nell’essere umano e l’energia necessaria per non smettere di credere, per non fermarsi, per creare e per fidarsi di ciò che è dentro e fuori di noi.
All’interno di questo folclore sapete qual è stato il mio più grande problema? I capelli bianchi che non riuscivo a coprire, l’odore di curry che naturalmente emanavo ed il flusso intestinale che continuava ad essere instabile.
D’altronde questa è India.