filosofia yoga

“Lo yoga ci insegna a modificare ciò che non può essere accettato e ad accettare ciò che non può essere modificato” 

B.K.S. Iyengar

cos’è lo
yoga

Yoga Chitta Vritti Nirodha,  l’arresto dei vortici della mente

filosofia
yoga

Il termine filosofia dal greco “amore per la sapienza” in sanscrito è tradotto Dharsana e trova le sue radici nei Veda, antichissimi testi indiani. La filosofia yoga aiuta l’essere umano a ritrovare lo stato primordiale di serenità.

yoga
sutra

Sutra dal sanscrito aforisma. Yoga Sutra è una raccolta di circa 196 aforismi diventato il testo di riferimento nello yoga classico.

Cosa c’è dietro la pratica?

Nello Yoga Sutra, testo di riferimento  nello yoga, Patanjali delinea “gli otto passi” da seguire per  “la cessazione delle fluttuazioni della mente”.

cos’è lo yoga

Lo yoga è una scienza indiana antichissima, risalente a circa 5000 anni fa. Èil metodo più antico di crescita personale, comprendente il corpo, la mente e lo spirito. Lo yoga non è una religione e neppure una semplice ginnastica. La peculiarità di questa disciplina risiede nella ricerca dell’equilibrio del corpo e dello spirito attraverso posture di allungamento, rafforzamento, respirazione e concentrazione.

La parola yoga viene dal sanscrito yuj (aggiogare) significa unità, intesa in termini spirituali come l’unione fra la coscienza individuale e quella universale.

Cosa significa?

Le tecniche dello yoga servono a bilanciare il sistema corpo – spirito – mente producendo nel praticante forza, energia e chiarezza, eliminando la barriera fra luce ed ombra, creando un senso di pace.
Una pratica regolare è in grado di risvegliare l’individuo e riportarlo allo stato primordiale di connessione con il Sè, libero da condizionamenti esteriori, raggiungendo in questo modo modo una sensazione di benessere.

Grazie agli insegnamenti dello yoga il praticante riesce a definire meglio il percorso di crescita personale, armonizzandocorpo, mente ed emozioni, arrivando alla consapevolezza di sé quindi allo yoga nel suo significato originale di unione.

filosofia yoga

Il termine filosofia dal greco “amore per la sapienza” in sanscrito è tradotto dharsana e trova le sue radici nei Veda, antichi scritti indiani la cui datazione è incerta.

In India ogni ramo filosofico si ispira ai Veda. Essi provengono da una lunga tradizione orale e sono l’espressione di una popolazione nomade indoariana stabilitasi in un villaggio nei pressi del Gange attorno al 1500 a.C.

Veda significa conoscenza e può indicare diversi tipi di sapere. Per quanto concerne lo yoga troviamo le prime tracce nell’ultima parte dei Veda, i Vedanta: obiettivo del Vedanta è la conoscenza dell’esistenza assoluta, Brahman, oltre l’illusione del mondo così come ci appare.

Quest’ultima parte è chiamata anche Upanishad: upa significa vicino, ni sedersi, shada verità: sedersi accanto alla verità. L’etimologia della parola sembra quindi alludere al carattere esoterico dell’insegnamento trasmesso dal maestro al discepolo che gli sedeva vicino.

Le Upanishad sono spesso enunciate sotto forma di dialogo, insegnamenti che venivano per lo più impartiti attraverso immagini archetipiche, proprio perché tramandati oralmente. In queste scritture troviamo le prime immagini che ci rimandano allo yoga.

In seguito fu Patanjali a sistematizzare queste scritture negli Yoga Sutras, aforismi dove vengono sintetizzate proprio le conoscenze rivelate nelle Upanishad, mostrando la via per un percorso di consapevolezza che permette di unire il Sè al mondo, microcosmo e macrocosmo arrivando ad uno stato di unità (yoga).

Patanjali è considerato il padre dello yoga proprio perché è colui che ha dato inizio alla diffusione dello yoga. Lo Yoga Sutra è indubbiamente il testo più importante dello yoga classico. Non sappiamo l’esatta datazione di questo testo ma si pensa che sia stato scritto tra il XII – XIII secolo d.C. Si tratta di 196 aforismi che descrivono la pratica ed i metodi tramite i quali raggiungere l’unità, quindi uno stato di serenità in cui scompare ogni tipo di scissione.

L’unione con il sé (yoga) è l’obiettivo ultimo del percorso di consapevolezza e Patanjali individua una pratica composta da otto stadi, percorso chiamato ashtanga yoga tradotto appunto come “gli otto stadi”. Possiamo considerare questi stadi come i gradini che il praticante deve percorrere per raggiungere la libertà.

Cosa si intende per libertà?

Quello che descrive Patanjali è il cammino da seguire per raggiungere la libertà dal nostro stesso ego, nonché prigione dell’essere umano.

Patanjali crede che la mente razionale non può comprendere il concetto di unione in quanto vive in uno stato di perenne separazione. Secondo la filosofia indiana questa divisione fra noi e il nostro sé è l’origine di tutte le sofferenze dell’essere umano.

L’ego è la causa di questa scissione, è quella parte di noi che si illude di poter controllare la realtà circostante, le relazioni con le persone ed in generale la propria vita. Ciò non è possibile e l’impossibilità di realizzare questa presunzione dell’ego è ciò che crea frustrazione e sofferenza.

Nella filosofia dello yoga le angosce dell’essere umano, chiamate Dukha, sono suddivise in tre categorie: soprannaturali, ovvero fenomeni come terremoti, alluvioni, catastrofi naturali; extra organiche, quindi ripercussioni di fenomeni esterni sulla nostra vita; intra organiche, problemi creati da noi stessi come insoddisfazioni, blocchi, paure.

Il percorso delineato negli Yoga Sutras ci fornisce gli strumenti per fronteggiare tutte le tipologie di queste sofferenze quindi per sopravvivere a svariate situazioni di difficoltà. Non a caso lo Yoga Sutra è considerato anche il primo trattato di psicologia universale.

Andando più a fondo in questa logica si può affermare che l’essere umano perde la sua natura sin dal momento in cui nasce in quanto viene sottoposto a tutti i tipi di sofferenza terreni sopra elencati, viene quindi allontanato dalla sua vera natura. Gli Yoga Sutras spiegano il percorso da seguire per tornare a quella condizione di unione nonché di pace.

È interessante sottolineare che nello yoga non esiste il concetto di “ricercare se stessi” . Non si ricerca qualcosa che fa già parte di noi. Dobbiamo solo rimuovere la polvere che occupa gli scaffali della nostra persona per far risplendere il nostro vero sé. Gli Yoga Sutras ci forniscono gli strumenti per fare pulizia.

Nello yoga non usiamo neanche il concetto di “andare in crisi” in quanto quella che comunemente viene definita crisi non è altro che un risveglio, un campanello d’allarme che inizia a suonare per avvisarci che siamo andati o stiamo andando fuori strada.

Come si fa ad imboccare la strada corretta per raggiungere yoga?

Nei suoi aforismi Patanjali sostiene che prima di tutto è necessario purificare i propri comportamenti e le proprie attitudini verso gli altri e verso se stessi, mantenendo corpo e mente in salute, allenati e concentrati, pronti per la meditazione.

Sono questi i mezzi attraverso i quali creiamo le condizioni necessarie per raggiungere il samadhi, lo stato di beatitudine quindi la consapevolezza non razionale di unione (yoga).

In quest’ottica lo yoga è la comprensione della non dualità della realtà: lo stato di pace e serenità si verifica quando soggetto, oggetto sono compresi come Uno. Ritorniamo così al significato di Yoga di unione, il quale si verifica quando non esiste più né “io” né “tu”, l’ego scompare in nome di una coscienza superiore consapevole del tutto.

Il significato di yoga è unione e la sua definizione invece, che troviamo nel secondo sutra , è yoga chitta vritti nirodha tradotto come “cessazione delle fluttuazioni della mente” quindi la condizione che ci permette di accettare il nostro stato naturale.

yoga sutra

Il testo di riferimento per eccellenza nello yoga è lo Yoga Sutra. Gli Yoga Sutra sono una serie di 196 brevi aforismi (sutra in sanscrito aforisma) scritti dal saggio Patanjali. Questi aforismi descrivono la pratica ed i mezzi tramite per raggiungere lo stato di yoga nel suo significato originale di unione.

La datazione di questo testo non è certa, si crede che Patanjali sia vissuto circa 5000 anni fa ma ci sono diverse teorie al riguardo. Sicuramente gli aforismi poggiamo sulla scuola filosofica Samkhya, antecedente alla nascita del Buddismo. Alcuni studiosi sostengono che lo stesso Buddha abbia studiato la filosofia Samkhya. Le similitudini fra gli Yoga Sutra ed il buddismo sono infatti evidenti, nonostante si tratti di due discipline differenti.

Gli aforismi ordinati nello Yoga Sutra provengono probabilmente dalla tradizione orale, quando venivano tramandati da maestro a discepolo. Per questo motivo tante posizioni yoga portano il nome di animali (cane a testa in giù, scorpione, piccione, serpente, mucca, gatto, corvo ecc.), in quanto era più facile ricordarle. Il merito di Patanjali è proprio quello di aver raggruppato questi insegnamenti in un unico trattato scritto.

Lo Yoga Sutra è considerato anche il primo testo di psicologia universale dato che per la prima volta vengono spiegate tecniche e teorie riguardanti la psiche umana.

Il libro è diviso in quattro capitoli: Samadhi pada, Sadhana pada, Vibhuti pada e Kaivalya pada.

Samadhi pada

Nel primo capitolo Patanjali spiega che cos’è yoga definendolo come yogah chitta vrtti nirodhad, “sospensione delle modificazioni della mente”. Con queste parole non si intende bloccare i pensieri quanto piuttosto attivare un processo di consapevolezza interiore che permetta di accogliere ed accettare sentimenti, passioni e desideri ed evitare che prendano il controllo della nostra vita.

Sadhana pada

Gli aforismi del secondo capitolo spiegano come raggiungere uno stato yogico. In Sadhana Pada sono descritte le tecniche del Kriya yoga, lo yoga dell’azione, quindi il percorso da seguire per liberarsi della sofferenza. Patanjali elenca le cause principali della sofferenza dell’uomo, riconoscendole nell’ignoranza, nell’ego, nell’attaccamento, nell’odio e nella paura di morire. In questo capitolo Patanjali inizia a parlare del percorso da seguire per superare queste avversità che ogni essere umano incontra durante la sua vita e definisce i primi gradini del cammino di liberazione, chiamandolo ashtanga yoga, “otto passi dello yoga” . Essi consistono in norme etiche, auto disciplina, pratica fisica, respirazione, raccoglimento, concentrazione, meditazione fino ad arrivare all’obiettivo principale: yoga, lo stato di pace.

Vibhuti pada

In questo capitolo Patanjali spiega i benefici di una pratica regolare ponendo l’accento sulla parte mentale. Il maestro spiega a fondo i concetti di concentrazione, dharana, meditazione, dhyana e samadhi stato di pace. Nel primo aforisma di questo capitolo Patanjali scrive che quando la mente o gli occhi sono concentrati su un punto fisso, la percezione diventa intensa inducendoci ad uno stato di meditazione, quindi ad un flusso di coscienza nel quale siamo immersi a tal punto da amalgamarci con esso, raggiungendo uno stato di unità e di pace. Il cosiddetto samadhi, fine ultimo dello yoga.

Kaivalya pada

Kaivalya significa distacco ed in questo caso si riferisce alla riconquista del nostro Sé, distaccandosi dalle sofferenze terrene che ho sopra elencato. Kaivalya pada è l’ultimo degli otto passi descritti nel libro, condizione per liberarci da ciò che ci mantiene incatenati agli ostacoli che generano sofferenza. In questo capitolo Patanjali spiega come, attraverso gli strumenti delineati in precedenza, sia possibile raggiungere uno stato di maggiore consapevolezza e conoscenza di Sè, arrivando quindi all’unione (yoga) .

cosa c'è dietro la pratica?

Gli otto passi dello yoga che Patanjali delinea nello Yoga Sutra sono rispettivamente Yama, Niyama,  Asana, Pranayama, Pratyahara, Dharana,  Dhyana, Samadhi. 

Cosa significa? Rispettivamente: norme etiche Yama, norme morali Niyama,  pratica fisica  Asana, respirazione Pranayama, ritiro dei sensi Pratyahara, concentrazione Dharana, meditazione Dhyana,beatitudine Samadhi  

In questo articolo approfondiremo le prime due, quelle che precedono la pratica fisica quindi indispensabili per iniziare un percorso yoga. 

Gli Yama sono: non -violenza (ahimsa), verità (satya), assenza di desiderio per le cose altrui (asteya), continenza (brahmacharya), assenza di desiderio di possesso (aparigraha)

Patanjali YS 2.30 

I primi passi dello yoga stabiliscono le regole di comportamento del praticante. La radice della parola yam significa contenere, trattenere, controllare. 

Il primo yama, Ahimsa, la non violenza consiste nel non danneggiare in alcun modo gli altri esseri viventi, evitando di arrecare loro ogni genere di sofferenza, sia fisica che morale. Questo yama mira a coltivare il distacco nell’animo del praticante tramite la rinuncia a dominare le situazioni e a prevalere sugli altri. 

Il secondo yama, Satya, la verità, deriva da sat, letteralmente “ciò che è” testimoniando pertanto un collegamento tra la parola ed il pensiero. La falsità crea disarmonia dentro e fuori di noi perciò è bene rimanere coerenti con la nostra realtà. 

Asteya, il terzo yama, consiste nella mancanza di desiderio per le cose altrui, non solo nell’azione ma anche nel pensiero in quanto anche il pensiero ha effetti karmici indipendentemente dal fatto di rubare o meno. 

Brahmacarya, il quarto yama, rimanda al controllo degli organi sensoriali e ci invita e non disperdere le nostre energie attraverso i sensi. 

Aparigraha, il quinto yama, consiste nell’assenza di avarizia, nel non desiderare per sé più dello stretto necessario. Il possesso infatti implica tensione mentale e sofferenza per la fatica di acquisire ciò che si desidera, comporta poi la preoccupazione per conservarlo ed eventualmente la  delusione per la sua perdita. 

 “La purezza (sauca), l’appagamento (santosa), l’ascesi (tapas), lo studio dei testi sacri (svadhyaya) e l’abbandono al Signore (Isvara pranidhana) costituiscono i niyama

Patanjali YS 2.32

Anche i cinque niyama sono regole di comportamento come gli yama ma a differenza di questi non regolano il comportamento verso gli altri ma verso noi stessi. 

Il primo niyama, Sauca, la purezza, deriva dalla radice suc, che significa lavare, purificare. Viene inteso a livello esterno quindi la pulizia del corpo fisico ed il mantenimento del suo stato di salute con cibi sani evitando di assumere sostanze nocive (alcol, droghe, fumo) ed anche a livello interno, ovvero nella rimozione delle impurità della mente. 

Santosa, il secondo niyama, l’appagamento, consiste nel trovare comunque soddisfazione nella propria condizione. Significa essere felici e soddisfatti senza un motivo particolare, accettando serenamente la propria condizione anche in presenza di circostanze indesiderabili. 

Tapas, il terzo niyama, si fonda sula capacità di sopportare le  condizioni estreme come fame e sete, caldo e freddo, stare in piedi e seduti. Da qui vengono la pratica del silenzio e del digiuno. 

Il quarto niyama, Svadhyaya, consiste nello studio delle scritture sacre che riguardano la liberazione e lo studio di se stessi come forma di autoanalisi. 

Isvara pranidhana, il quinto niyama, è un esortazione a non essere attaccati ai frutti delle nostre azioni e questo solo dopo aver reagito in ogni circostanza nel migliore dei modi.