Cambogia

Dopo quasi due mesi passati in Cambogia sono pronta per la prossima tappa. Domani mattina all’alba prenderò un autobus, attraverserò la frontiera cambogiana ed in circa dieci ore arriverò in Laos. Non vedo l’ora di percorrere quella strada, i lunghi viaggi in autobus o treno mi regalano adrenalina, entusiasmo e stimolano tantissimo la mia creatività.

In questo momento sono seduta in una sedia di plastica in un chioschetto a Siem Reap mangiando Amok, un piatto tipico cambogiano composto da latte di cocco, pesce, uova, curcuma, aglio, zenzero e servito in foglie di banano. Delizioso.

Devo ammettere che inizialmente avevo sottovalutato questo paese. Sono arrivata di notte dalla Thailandia e sono andata direttamente all’estremo Sud al confine con il Vietnam. Anche quello è stato un viaggio di tantissime ore ed ho visto il paesaggio cambiare diventando sempre più arido e povero.

Strade per lo più sterrate, piene di buche. Tanti piccoli edifici in costruzione alternati a casette di legno, carretti carichi di cocco, benzina imbottigliata e patatine in sacchetto.

Da Phnom Penh in giù la strada va migliorando, la vegetazione si infoltisce ed intanto si continua a sudare avvolti dall’umidità che caratterizza questa terra.

La Cambogia è un paese che ancora trascina i retaggi della guerra, degli sfregi di Pol Pot, terminati solo nel vicino 1979.

Durante il genocidio venne torturato, massacrato ed ucciso circa un terzo della popolazione totale. Inevitabilmente, ogni volta che mi trovo di fronte ad un cambogiano immagino la storia della sua famiglia considerando che non si tratta di generazioni passate ma di quella attuale. Sento un senso di compassione ed impotenza immaginando come probabilmente quella persona ha perso madre, padre, fratelli o figli durante la strage.

Nell’Ashram dove ho lavorato offrivamo agli ospiti diversi trattamenti, non solo Yoga: Reiki, massaggi, coaching, letture astrali e costellazioni familiari. Sapete cosa sono?

È un metodo di guarigione fondato dallo psicologo Bert Hellinger il quale sosteneva che le nostre vite sono condizionate da ingiustizie, privazioni, violenze subite dagli antenati. Si tratta di dinamiche inconsce che influenzano tutti i settori esistenziali: amore, lavoro, salute.

Secondo il metodo delle costellazioni familiari possiamo guarire prendendo consapevolezza dei blocchi familiari:  attraverso rappresentazioni sceniche il soggetto viene indirizzato ad osservare i propri livelli inconsci. Viene così indotto al dialogo con i diversi sistemi e quindi facilitato a scoprire l’origine del disagio e dei sintomi correlati. È una presa di coscienza.

Hellinger definì questi sistemi “ordini dell’amore” ovvero un karma familiare, per cui ogni torto fatto ad un antenato va compensato da un successore. 

Vivendo in un contesto di questo tipo, circondata da stimoli spirituali costanti, non potevo non immedesimarmi nei cambogiani che vedevo ogni giorno, immaginando il loro karma familiare e la loro impossibilità di presa di coscienza per mancanza di strumenti.

Contemporaneamente, una grande fetta degli ospiti in Ashram era composta da americani, bisognosi di guarigione. Ho conosciuto persone stupende con storie complesse alle spalle: ex tossicodipendenti, alcolisti, persone con forti depressioni, altre in stato di lutti importanti.

È stato stremante condividere queste situazioni con loro, non smettevo di riflettere ed interrogarmi sulla realtà di questo mondo così contrastante.

Mentre osservavo quelle persone pensavo al karma familiare, probabilmente anche i loro antenati avevano partecipato a stragi massive, non come vittime ma come carnefici.

Ogni decennio infatti, mascherati da paladini della democrazia, gli americani bombardano nuovi paesi. Per citarne alcuni, penso alla Libia, al Medioriente quindi Iran, Iraq, Yemen, Libano,  all’Afghanistan, al Kosovo, alla Bosnia, a Panama, al Vietnam, alla Corea e alla… Cambogia!

Ebbene si, la Cambogia. Durante la guerra l’America ha gentilmente sganciato 500 mila tonnellate di bombe sul paese e 40 mila persone ancora oggi vivono amputate per aver sfiorato uno dei 6 milioni di ordigni inesplosi. I nostri amici statunitensi infatti, incapaci di accettare la sconfitta subita dal Vietnam, hanno ben pensato di impartire una loro vendetta, proponendosi di aiutare la Cambogia a contrastare l’avanzata dei Vietcong e del comunismo. Il solito copione che già conosciamo.

Nei libri di testo che studiamo a scuola questi “dettagli” non vengono raccontati. La storia non viene mai scritta dai vinti e soprattutto viene sempre adottato il filtro che più è comodo al nostro sistema.

Ancora oggi, a distanza di 80 anni, in occasione dell’anniversario dell’Olocausto nelle scuole viene osservato un minuto di silenzio però mai si parla degli altri genocidi. Il Diario di Anna Frank è diventato un Best Seller ma nessuno conosce Il lungo nastro rosso.

Occidente ed Oriente, il risultato è il medesimo nella sua diversità: da una parte gli americani, soffocati dal consumismo, vengono a implorare ristoro in Cambogia in un  retreat center ; dall’altra i cambogiani, impossibilitati della capacità di sentire, accolgono lo straniero con sorrisi timidi.

Ho fatto amicizia con un venditore ambulante di cocco dove andavo a bere l’acqua santa quotidiana. Un giorno mi chiede: “la vita è più bella qui o nel tuo paese? “. Bella domanda, come mi piacerebbe saperti rispondere amico.

Il quesito diventa il chiodo fisso: chi è ricco e chi non lo è? Chi è fortunato e chi non lo è? Chi è felice e chi non lo è? Ma soprattutto, che cos’è la felicità?

I cambogiani mi hanno insegnato a non provare rancore, mai rispondere all’odio con l’odio. E la vendetta, che sciocchezza. Che perdita di tempo e di energie.

Anche io ho partecipato ad una costellazione familiare, non come costellatore ma come rappresentante. È stato uno dei giorni peggiori da quando sono qui. È durata un paio d’ore e volevo solo scappare via. Ma sono rimasta proprio perché, come mi hanno insegnato altre situazioni nel corso di questo viaggio, è proprio quando ci si sente intolleranti che bisogna restare, affrontare il disagio e prenderne coscienza. È la via per la liberazione.

Ho imparato così a riappropriarmi dell’ozio e del tempo perso. Le costellazioni mi hanno indotta ad essere frivola. Si, ebbene si. Dopo quattro mesi passati alla scoperta spirituale, addormentandomi ogni giorno alle dieci di sera e svegliandomi all’alba per praticare Yoga, ho avuto bisogno di pura leggerezza.

Il ritmo nell’Ashram, le energie che circolavano là dentro, erano molto dure da sostenere. Grazie al cielo c’erano i colleghi con i quali spesso la sera scavalcavamo il cancello principale che veniva rigorosamente chiuso alle nove, attraversavamo la Jungla e ci recavamo nell’unico bar del paese.
Incredibile come qualcosa di così semplice e banale possa in certi momenti sembrare un lusso tanto prezioso.

Mi sono in questo modo resa conto di aver represso quel tipo di divertimento negli ultimi mesi ed ho così avuto un colpo di testa, nel vero senso della parola. La notte della vigilia di Natale ho bevuto due birre e mi hanno letteralmente mandata su di giri, ritrovandomi a girare da una festa all’altra, in tre su un motorino e senza casco. Alle feste incontravo i miei studenti i quali provavano vergogna nel farsi vedere dall’insegnante di Yoga in preda al delirio notturno. Ma poi si tranquillizzavano accorgendosi che il delirio era collettivo.
Ed abbiamo così ballato, riso e scherzato.

Tutti proviamo un senso vergogna per qualcosa di intimo ma se imparassimo a non oscurare l’ombra di ciò che provoca questa insicurezza saremmo molto più spontanei e spensierati. La vita è troppo breve per essere presa sul serio.

Ho quindi ripetuto la serata la notte di Capodanno, ritrovandomi alle cinque del mattino a mangiare salsicce ripiene di formaggio (non voglio assolutamente sapere di cosa fossero fatte) in un mercato locale, con ratti giganti che circolavano lì intorno, pulendo la strada dalla baldoria della notte precedente. Il tutto seduta in un Tuc Tuc con una famiglia di inglesi. Che mix ragazzi, che spasso e che spettacolo.

In Ashram abbiamo aperto il primo dell’anno con 108 saluti al sole alle sei del mattino. Molti mi chiedono se sono vegana in quanto l’associazione Yoga – veganismo è scontata e banale. Rispondo orgogliosa che no, non lo sono. Volete un’etichetta? Va bene, sono Flexetarian. E se questo comporta mangiare salsiccia e formaggio in un mercato sporco nei meandri dell’Asia, perché no?

Forse è questa la felicità.

Ciao Cambogia, ti porterò nel cuore.

“Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro. Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo. “

Lev Tolstoj