Bali

L’aeroporto di Bangkok è forse il mio preferito sulla Terra. Sei al centro dell’Asia, nel cuore dell’Oriente. Da lì partono voli un po’ per tutto il mondo ed io mi perdo a guardare gli schermi, immaginandomi in quelle località fantasticando su quel che potrei vivere e scoprire in quel luogo.

Ero là, attendendo l’imbarco per Bali. Sembrava l’aereo della gioventù. Ragazzi e ragazze di ogni nazionalità, per la maggior parte alti, biondi ed abbronzati. Tutti abbigliati sportivi ma alla moda e stravaganti.
Niente a che vedere con il sud est asiatico che avevo appena visitato.

Mi ha ricordato l’aereo che presi per andare in Australia. Stesso stile, stessa gente. D’altronde l’Indonesia è geograficamente più vicina all’Oceania che all’Asia. Atterrati a Bali lo spettacolo continua quando mi ritrovo circondata da tavole da surf e tappetini yoga.

Penso al mio arrivo a Sidney, avevo vent’anni ed ebbi un’esplosione di felicità vedendo tutte quelle persone così apparentemente libere e spensierate. E poi diciamolo, sia a Sidney che a Bali quanti bei ragazzi. Se così non fosse il mito del surfista non avrebbe ragione di esistere d’altronde.

Dopo tutti questi mesi passati in Asia e lontana dal turismo di massa l’idea di rilassarmi in un’atmosfera di questo tipo mi alleggeriva. “Finalmente posso mangiare quello che voglio! Chissà quante persone interessanti conoscerò a Bali! E si, è ora di comprare un costume decente ed anche un vestito degno di essere indossato. I miei cadono a pezzi ormai.”  Questi i miei primi pensieri nell’isola tropicale.

Arrivo in tarda serata a Canggu, una località sul mare. L’ho scelta ad occhi chiusi sotto consiglio di Silvia e di un’altra ragazza che veniva a lezione da me in Laos. Non per la cittadina in sé ma per regalarmi un ritiro Yoga in una Eco Guesthouse a lor detta stupenda. Ed infatti lo era. Ho passato qualche giorno in quell’oasi appartata, praticando tanto yoga con maestri bravissimi e mangiando cibo squisito e salutare.

Sveglia alle sette, Ashtanga Yoga, colazione, passeggiata in spiaggia, Aerial Yoga, spuntino, doccia, meditazione, cena, letto. Questa la mia routine. “E chi sta meglio di te”, penserete. Effettivamente era quello che ripetevo a me stessa come se dovessi convincermene.

I primi giorni sentivo ancora quell’euforia che avevo vissuto in aereoporto, osservando tutta la gente che era in aereo con me. Tutti belli e sorridenti. Durante i mesi precedenti non me ne era mai importato nulla di “darmi da fare” per conoscere persone e nonostante ciò sono sempre stata in compagnia, raramente ho cenato sola. A Bali sentivo invece una smania diversa: volevo conoscere e condividere a tutti costi il mio tempo con almeno una di tutte quelle belle persone.

Di solito durante un ritiro Yoga si è più centrati su sé stessi, non si sente realmente l’esigenza di parlare soprattutto perché dopo tutte quelle ore di pratica non se ne hanno le energie. Qualcosa quindi non quadrava: ero caduta nella trappola.

Una sera a cena, forse la seconda, osservavo come nel ristorante della guesthouse erano tutte persone sedute da sole, come me. Ci si vedeva più o meno a lezione, ci si incrociava per strada, sorrisi a trentasei denti ma nessuno parlava con nessuno. Tutti seduti al tavolo con il telefono in mano o addirittura il computer.

Abituata al sud est asiatico dove vige uno scambio continuo di parole, pensieri, dove l’incontro con la i maiuscola è all’ordine del giorno, non concepivo né accettavo quel silenzio.

Così, durante quei primi giorni, nonostante le giornate stupende dedicate a me stessa, non riuscivo realmente a centrarmi, dirigendo l’attenzione all’esterno anzi che all’interno, chiedendomi “perché nessuno parla con nessuno? “.

Non sapevo perché dedicavo le mie energie a quelle riflessioni ma era più forte di me. Provavo un sentimento costante di irrequietezza, come se non fossi mai davvero presente. Assurdo. Le giornate passavano e vedevo le stesse persone sedute da sole, a cena con il cellulare.

Eh no, ora basta. Ho fatto tre cose:
la prima osservare attentamente quelle persone così belle e silenziose, la seconda scrivere sul diario le mie riflessioni al riguardo e la terza attaccare bottone (chissene importa se non vengo bene accolta).

Cosa è successo? Ora ve lo racconto. Il primo ragazzo che mi sono messa a guardare è stato un tizio credo australiano. Capelli lunghi, alto ed abbronzato. Lui aveva sempre il cellulare di fronte agli occhi a tal punto che, seppur oggettivamente bello, perdeva ogni sorta di attrattiva. Ho visto come passava il suo tempo su Instagram, entrava nelle pagine di modelle e zoomava su culi e tette.

Non sono una stalker, sono solo curiosa! Quante risate mi sono fatta dentro di me: questo tipo è a Bali dove di modelle ce ne sono a decine, come fai a passare le tue serate su Instagram? No, non sei tu quello che importunerò.

La seconda persona che ho osservato è stata un altro ragazzo. Anche lui capelli lunghi, alto ed abbronzato (sono tutti così a Bali). Ad un certo punto chiama la cameriera e le chiede informazioni su un programma detox. La cameriera risponde e lui inizia a fare domande su domande andando ben oltre quelle che potevano essere le competenze della sventurata fino al punto in cui lei non riesce più a rispondere. Lui si altera e, non contento di averla già messa in difficoltà, infastidito, vuole il conto e chiede di parlare con “qualcuno più informato di lei”. La cameriera, con la cortesia tipica balinese, gli dice di tornare il giorno successivo. Il tizio continua a farfugliare parole, lamentandosi. Un altro schizzato. No, non importunerò neanche te.

Quei due primi soggetti sono stati in realtà molto importanti in quanto hanno regalato ottimo materiale alle mie riflessioni.

Ho iniziato a scrivere a ruota libera nel diario. Riportando queste storie più altri aneddoti simili collezionati durante le mie prime giornate a Canggu è emerso come tutte quelle persone avessero un denominatore comune: il vuoto.

Voi direte “e chi sei tu per giudicare se uno sconosciuto è vuoto o no? “. Effettivamente non sono nessuno, io. Ma mi hanno ricordato Giulia a Barcellona, specialmente quella dell’ultimo anno.

Le parole di Battiato nella canzone “Il Vuoto” descrivono alla perfezione ciò a cui mi riferisco. Di seguito riporto quelle chiave:

Danni fisici psicologici collera e paura stress
Sindrome da traffico ansia stati emotivi
Tu sei quello che tu vuoi ma non sai quello che tu sei
Inseguo il nostro tempo
Vuoto di senso senso di vuoto

La canzone mi piace tanto non solo per la melodia ma proprio perché emblematica della nostra generazione. Sono sicura che non sono l’unica ad aver provato quel senso di vuoto, di inutilità.

Durante il mio lungo viaggio in Asia quella brutta sensazione se ne è andata e con lo scorrere dei giorni, settimane e mesi si è allontanata sempre più. Non perché stia facendo qualcosa che mi rende  “meno inutile” ma probabilmente perché sono circondata da sorrisi veri, persone genuine e semplici. Conduco una vita autentica.

Tutto questo ha riempito il mio bagaglio molto più di quanto avessero fatto oggetti accumulati negli anni o l’ottimo stipendio che avevo quando lavoravo come commerciale.

L’essere umano è però fragile di natura ed anche quando ci sembra di aver trovato un equilibrio è importante saperlo mantenere, senza cadere in distrazioni.

Lo Yoga aiuta la persona ad avvicinarsi al proprio centro, lasciando fuori tutto ciò che la fa incessantemente saltarellare da un’attività all’altra provocando ansia, stress, paura. Introdurre una pratica costante aiuta ad interrompere questa dinamica creando un senso di stabilità e concentrazione, allontanando di conseguenza stati ansiosi.

Affinché questo avvenga è necessaria tanta costanza. B.K.S. Iyengar, uno dei più importanti maestri di Yoga contemporanei conosciuto soprattutto per l’importanza attribuita all’allineamento del corpo durante la pratica, insegna come per eseguire correttamente un asana (posizione) occorre ripetere e praticare costantemente. Lui stesso afferma che il momento in cui l’azione inzia ad essere corretta è soltanto l’inizio del percorso.

Come esempio banale delle sue parole mi viene da pensare all’alimentazione: siamo tutti bravi a stare a dieta il lunedì mangiando riso in bianco e verdure bollite ma meno bravi a mantenere un’alimentazione sana e bilanciata tutti i giorni.

Ritornando a Bali quindi, cosa mi era successo? Ho distolto lo sguardo, spostandolo da dentro a fuori di me. Mi sono fatta per un momento affascinare da tutta quella bellezza da serie televisiva che vedevo fuori, sentendo così un senso di irrequietezza poichè desideravo anche io partecipare a quel bellissimo episodio. In realtà non mi rendevo conto che già ne facevo parte, o meglio che la bellezza era dentro di me. Non perché io sia speciale, lo siamo tutti e non abbiamo bisogno di agghindarci a festa per provarlo a noi stessi o agli altri.

Pensiamo che l’erba del vicino sia sempre più verde e troppe volte non ci rendiamo conto che la nostra è brillante, viva ed unica. Mai confrontarla con quella degli altri, il paragone non può che portarci alla frustazione, diventa come un paraocchi che non ci permette di vedere il nostro splendore.

Così, dopo un paio di giorni ho reagito allo sradicamento creatosi di fronte a quella freddezza osservando, scrivendo sul mio diario e attaccando bottone. Volevo capire, andare a fondo.

Una sera a Canggu nel tavolo accanto al mio c’era seduta una ragazza, stava lavorando al computer. Mi sembrava semplice e normale.  Senza pensarci troppo l’ho abbordata con una banale battuta sul cibo indonesiano. Abbiamo passato tutta la serata insieme. Lei, psicologa e insegnate di Yoga polacca, mi ha raccontato che vive da nomade digitale. Nei giorni successivi ne ho conosciuti a decine.

Praticamente questa figura lavora da remoto, svolgendo svariate mansioni, dipendendo dalle competenze. Per esempio la ragazza polacca si mantiene insegnando Yoga per il mondo e scrivendo per vari giornali, occupandosi di ricerca ed altri progetti. Si, un po’ il mio sogno. Coincidenza?

Per farla breve è nata un’amicizia ed è stata solo una delle tante persone con profili simili che avrei poi incontrato nei giorni successivi a Bali.

Mi sono spostata a Ubud, capitale balinese dello Yoga, della spiritualità ed anche dei nomadi digitali. Volevo stare due notti, ne sono passate quattro e sono ancora qui.

Ogni casa ha un tempio privato nel suo giardino, ci sono anche i templi pubblici e quelli nascosti. Passeggio per le vie e mi perdo ad osservarli. A volte mi capita di entrare in un cancello attratta dalla statua di Ganesha senza accorgermi che quello non è un luogo pubblico ma il giardino di una casa.

Tutte le mattine le donne camminano avvolte nei sarong colorati trasportando un vassoio pieno di fiori, foglie e incensi che emanano profumo di sandalo. Sono le offerte che porgono alle loro divinità. “Non è per chiedere qualcosa ma per auspicare pace e serenità” , così mi ha spiegato la padrona della casa dove alloggio.

Anche a Ubud ci sono i turisti, proprio gli stessi che vedevo a Canggu. Meno surfisti dato che siamo lontani dal mare ma tanti yogi. Anche qui vige la regola dei ragazzi biondi ed abbronzati che vedevo a Canggu: sono tutti fisicati, vestiti bene e sorridenti.

Sto andando a lezione in una delle scuole di Yoga più rinomate in Asia e c’è la fila per entrare. Da un lato è entusiasmante dall’altro mi domando quanto tutta questa spiritualità sia autentica.

È pieno di ristoranti radical chic vegani molto cari confronto agli standard del posto. Estremamente buoni ma gestiti da occidentali.

Io mi sono innamorata dei Warung invece, ristoranti locali che hanno comunque ampia scelta vegetariana con la differenza che non è marketizzata. La particolarità di questi ristoranti è come si compone il piatto: in una vetrina sono presentate tante differenti pietanze e il cliente sceglie cosa affiancare al riso. Il prezzo va a cucchiaiate. Non spendi mai più di due euro a pasto.

Infine, non potevo non indagare su una questione che continuava ad occupare i miei pensieri: cosa pensano i balinesi dello Yoga e di tutte queste belle persone che visitano la loro isola?

Ho parlato proprio con il proprietario di uno di questi Warung. Inizialmente non era sincero poiché troppo fedele alla tradizionale gentilezza balinese. Ho insistito facendo domande che giravano intorno alla domanda e praticamente ha confermato il mio sospetto.

Né lo Yoga né il surf fanno parte della tradizione indonesiana. I turisti vengono per le onde che non possono trovare nel loro paese, e ci sta. Gli yogi a praticare in un paesaggio fiabesco dove si concentrano i più famosi insegnanti al mondo.

Purtroppo però la maggior parte di questi visitatori mostra poco rispetto per la cultura indonesiana. Sono attratti dalla bella vita a basso costo, dalle feste e si mostrano spesso non curanti delle tradizioni locali.

La maggior parte dei ristoranti e negozi è stata aperta da occidentali negli ultimi vent’anni, portando si turismo ma schiacciando l’economia locale. I balinesi lavorano per queste persone e raramente sono in grado di portare avanti la loro attività.

Considerando quanto ho fino ad ora vissuto in quest’isola, la sensazione che provo è ancora una volta un senso di vergogna. L’Oriente è la parte dell’universo probabilmente più piena, più spirituale, più genuina ed è così immensa rispetto alla nostra.

Non dovremmo che imparare, dovremmo prenderlo ad esempio non come un parco divertimenti.

Con le nostre smanie mascherate dal perbenismo stiamo letteralmente invadendo una parte di mondo che prima non conosceva questi stati d’angoscia. Hanno sicuramente altri problemi, si. Ma è triste assistere all’arroganza dell’uomo moderno che continua a colonizzare il mondo “non moderno” imponenedo le sue leggi e modi di vivere.

Ho recentemente letto il libro di Yuval Noah Harari Sapiens da animali a Dèi: breve storia dell’umanità. Parla dell’evoluzione dell’essere umano dagli albori ad oggi.

Lo scrittore spiega come abbiamo puntato tutto sui soldi, sulla burocrazia ritrovandoci schiavi di un sistema senza neppur saperne la ragione. La transizione dall’agricoltura e poi all’industria ha condannato l’uomo ad un tipo di vita innaturale privandolo del privilegio di esprimere i suoi istinti e desideri. Agiamo a macchinetta spesso mossi dal motore dei soldi, entrando così in un circolo vizioso che crea dipendenza. Ed ecco il senso di vuoto.

L’Oriente mi affascina tanto proprio perché sembra essere immune a questo sistema, è ricco e non è vuoto.

Immaginate come diventerebbe triste il mondo se un giorno il nostro materialismo prepotente invadesse totalmente questi paesi ancora genuini.

Come impedirlo? Come comportarsi di fronte a questo immaginario? Nel mio piccolo cerco di alimentare i business locali, di comprare il souvenir al mercato piuttosto che nel negozio ordinato. Di ricambiare i sorrisi e di interessarmi alla cultura locale. Non farà la differenza ma almeno viaggio consapevolmente, conoscendo e condividendo con rispetto.

In Italia ci sono ancora persone che credono che gli stranieri rubano il lavoro agli italiani, che i nostri problemi siano ingigantiti o addirittura creati dall’immagrazione. Preferisco non esprimermi al riguardo ma intanto vorrei chiedere a tutta questa gente: non è forse quello che state facendo voi in Oriente?

Lasciatemelo dire però. Come in tutte le cose c’è un risvolto positivo della medaglia: grazie a questa globalizzazione incessante anche i balinesi hanno iniziato a fare surf e yoga ed ho scoperto che sono molto più belli loro di quegli australiani abbronzati con i capelli biondi.

Mi dispiace ragazzi per tutti i soldi che avete investito in palestre, proteine e vestiti firmati. Poco si può fare per contrastare la Natura.

Quindi si, Indonesia vince Australia.

D’altronde giocano in casa.

Vi saluto a tutti dalle risaie di Ubud.